Sindaco sì, sindaca no? Linguaggio inclusivo o "ampio", il caso dell'italiano

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Un cartello mostrato durante una manifestazione del movimento 'Non una di meno' in Italia con il simbolo dello schwa, utilizzato da alcuni gruppi per offrire una declinazione neutra ritenuta più inclusiva. Credit: Laura Lezza/Getty Images

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L'inclusività della lingua italiana continua ad essere oggetto di un dibattito animato, che spesso assurge agli onori della cronaca. È capitato di nuovo nei giorni scorsi.


Un politico leghista, il senatore Manfredi Potenti, avrebbe voluto vietare per legge, negli atti pubblici, i nomi al femminile di alcune professioni.

Secondo la sua proposta, negli atti pubblici le parole come 'sindaca', 'questora', avvocatessa' e 'rettrice' dovrebbero essere aboliti e a chi non si adegua dovrebbe essere inflitta una sanzione fino a cinque mila euro.

In realtà sul ddl si è fatto marcia indietro, e la Lega ha precisato che la proposta di legge del senatore Potenti era "un’iniziativa del tutto personale".
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Ma non è certo la prima volta che si dibatte in Italia dell'inclusività della lingua italiana (o della mancanza della stessa).

Ne abbiamo parlato con una sociolinguista e divulgatrice italiana che da tempo si occupa della questione, Vera Gheno, autrice di vari libri, tra cui il recente 'Grammamanti. Immaginare futuri con le parole', attualmente in visita a Melbourne.

"Io parlo piuttosto di linguaggio ampio", spiega Gheno, "e il linguaggio ampio è un linguaggio di apertura verso quella che in inglese viene chiamata diversity, che in italiano più che diversità è la varietà, la naturale varietà con la quale occorrono e si manifestano gli esseri umani".

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Vera Gheno negli studi di SBS a Melbourne. Credit: SBS Italian -Magica Fossati
"Io non credo nel valore magico della parola", prosegue Gheno ai microfoni di SBS Italian.

"Non è che se iniziamo a dire ministra, assessora, il sessismo scompare o le discriminazioni sul professionali sul posto di lavoro se ne vanno".

"Però è vero che i femminili professionali sono una piccola ginnastica per il nostro cervello, per abituarlo alla normale alternanza dei generi, anche nei ruoli che normalmente siamo abituati o abituate a percepire sempre al maschile, ma non per un motivo strano: semplicemente perché magari in quel ruolo non abbiamo mai incontrato una donna prima di anni recenti".

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